Mamma matrigna. Mamma che non vede. Mamma che soffre e sputa il suo dolore annegandolo negli occhi di una bimba. Mamma amata, voluta e mai presa. Lacrime di bimba, adolescente, donna.
Life goes on… long after the thrill of living is gone …..
( La vita continua …..anche dopo che è passata la gioia di vivere …..)
Mi piace questa frase trovata in un romanzo che stavo leggendo, mi ha fatto pensare a quello che la vita presenta giorno per giorno. Alla mia età, non vivo più di sogni e non volto più le spalle al tempo che sembra scappare, accetto gli acciacchi e i piccoli malanni, sperando che non ne vengano di peggiori.
I ricordi, sono quelli che riempiono i momenti in cui vorrei solo non pensare e si accavallano come le scene di un lungo film del quale sono la protagonista. Non mi sento ridicola a chiedere ancora a mia madre il perché di tanta mancanza d’amore…. ora so che ha segnato tutte le scelte giuste o sbagliate della mia vita, con questa sensazione di abbandono che non mi mai lasciato.
C’era la guerra, le sirene degli allarmi suonavano quasi sempre durante la notte, la fuga precipitosa dalle case per raggiungere il rifugio (oggi galleria Sandrinelli ) e il rombo degli stormi di aerei e la paura di non poter più uscire da quel tunnel. I ricordi iniziano tra gli anni 1944-45, cioè gli ultimi di quella tragedia che fu la seconda guerra mondiale, non tutti sono i ricordi di una bambina che all’epoca aveva quattro, cinque anni, ma anche delle persone che le sono state accanto e hanno poi raccontato per anni i tanti episodi accaduti.
Cosa ricordo? Un appartamento condiviso con altre signore, un bambino poco più grande, unico compagno di giochi e….. divise, uniformi di soldati che entravano ed uscivano; noi, nascosti sotto un tavolo, giocavamo ad indovinare cosa avrebbero portato da mangiare: zucchero, farina, burro, olio, latte in polvere e anche caramelle e cioccolata. La mamma, quando c’era, poche volte e per pochi giorni, non si accorgeva della mia presenza, non dovevo disturbare, loro, le signore stavano lavorando e noi dovevamo stare buoni. Si mangiava a sufficienza, quando tante persone morivano di fame e perciò tutto quanto succedeva era normale, era vivere.
Lei, era bella e non solo, era intelligente, elegante, fredda, calcolatrice e “artista”….faceva la ballerina in piccole compagnie teatrali che si spostavano di città in città. Nei cinema, alla fine dei film, si apriva il sipario e di solito c’era il presentatore che quasi sempre era pure il comico, il cantante e poi accompagnato da una piccola orchestra, il corpo di ballo. Vennero anche a Trieste, al cinema “ Armonia “ in via Madonnina: c’ero anch’io, seduta in prima fila con la mia “santola” cioè con la persona a cui ero affidata; ero estasiata e gridavo con gioia : ”quella è mia mamma….anzi, mammina come voleva essere chiamata, è la più bella!”.
Anche quella volta, lei partì senza neanche salutare, lasciando poche lire per il mantenimento.
Quanti schiaffi, quante botte prese per futili motivi, quante volte in ginocchio sul sale, solo per aver toccato quella bambola meravigliosa vestita da dama che doveva rimanere sul comò e con la quale non potevo giocare; e quel grande uovo di Pasqua vinto al lotto? Che bello, la carta argentata rossa, quel nastro dorato e tanta cioccolata, tanta da non farmi dormire….. ma non si può toccare…. Ma se gli faccio un piccolo buchino sotto, lei non se ne accorgerà…. solo per vedere la sorpresa, non toccherò la cioccolata….poteva resistere una bambina di otto anni ? Purtroppo, se ne accorse un giorno ed i vicini di casa chiamarono la Polizia perché il pianto di quella bambina era diventato insopportabile . Non successe niente, era tanto bella e sapeva rigirare le persone a suo piacere, forse le consigliarono di non fare rumori che disturbavano i vicini.
I miei soli periodi di tranquillità furono quelli in cui lei non c’era; poi con l’età iniziarono le fughe da casa perché le botte continuavano come le proibizioni di poter avere un’amica, di fare una vita normale d’adolescente. La gioia di vivere era veramente scomparsa, ed è questo il motivo per il quale ancora oggi chiedo: Perché ?
1946….
“ Pecorella smarrita, ritorna all’ovile “: così intitolava Il Piccolo di quell’inverno del 1946. La neve era molto alta, quella notte c’era stata una di quelle bufere alle quali non siamo più abituati, ma quella mattina la voglia d’andare dalla maestra privata che mi insegnava a leggere e scrivere ad appena sei anni neanche compiuti, proprio non la sentivo. Dalla via Molino a Vapore dove abitavo, alla via Enrico Toti c’era solo da girare un angolo, ma prima dovevo fermarmi alla latteria a prendere la merenda: un formaggino di cioccolata da spalmare sul pane. Le monetine erano contate, esatte e bastavano; ma quella mattina, con la neve che arrivava al ginocchio, una pelliccetta bianca, un buffo cappuccetto e gli stivaletti, l’angolo da girare non fu quello giusto, ma da tutt’altra parte, cioè quello che sale in via della Madonnina verso la piazza del Sansovino. Uno sbaglio? Assolutamente no, ma una volontà precisa di andare a casa, dalla mia mamma Lala e papà Pino: loro sì, mi volevano bene, loro mi aspettavano anche se era passato più di un anno che non mi vedevano, perché c’era il divieto assoluto della mia “mammina”. Ero sicura di dover salire sul tram numero 1, i soldini li avevo, e immagino lo stupore del bigliettaio nel vedere una bambina così piccola che chiedeva un biglietto per andare a casa. Sapevo dove scendere per andare in via dei Soncini, bastava arrivare alla fermata del ponte, salire le scale e poi ecco la strada giusta. La guerra stava finendo, ma gli uomini che erano partiti ancora non ritornavano e negli uffici pubblici c’erano solo donne oppure uomini che per varie ragioni erano stati riformati; così era anche per i servizi della Posta. Il postino, è proprio lui che mi incontrò a metà di quella scala, conosceva tutta la storia e prendendomi in braccio salì con fatica la salita gelata fino alla casa di quelli che avrebbero dovuto essere i miei genitori . Non posso ricordare, ma immagino cosa provò mamma Lala (si chiamava Italia ) al racconto del postino di come e dove mi aveva trovato; papà non c’era , lui era marittimo ed i viaggi erano molto lunghi, duravano anche molti mesi. Intanto aveva ripreso a nevicare, non c’erano telefoni nelle vicinanze e perciò non c’era la possibilità di andare ad avvisare la mia “santola “ di dove mi trovavo. Penso al dolore e alla paura di quella povera donna che a modo suo infine mi voleva anche bene, ma quella notte dormii felice abbracciata alla mia mamma, che però alla mattina lasciandomi addormentata, andò alla bottega e da lì telefonò alla Polizia poiché non c’era altro modo di avvisare. Mi vennero a prendere e nonostante i miei pianti attaccata alla gonna della mamma, mi riportarono a casa e rintracciarono “mammina “ che non trovò altro modo di sfogarsi se non denunciare per sottrazione di minore chi veramente non aveva nessuna colpa. E così che il giorno successivo uscì il famoso articolo sul Piccolo.
Devo spiegare chi erano Lala e Pino: una coppia stupenda, piena d’amore e che non poteva avere figli. Fecero una domanda d’adozione e vennero mandati a scegliere un bambino tra i tanti orfani di guerra e bimbi abbandonati al Nido-Asilo di viale Miramare . In quegli anni, non servivano tante carte e tante pratiche, bastava la richiesta e la firma della madre naturale se si sapeva chi fosse. Quante volte, mamma Lala mi raccontò come mi avevano scelto tra tanti bambini bellissimi che si agitavano per essere abbracciati, quasi sapessero che da quelle moine dipendeva tutta la loro vita futura. Io no: me ne stavo in un angolo di quel lettino e mi dondolavo come fanno le scimmie in cattività; non ero bella e per i miei otto mesi ero alquanto piccola. Mamma Lala disse solo: “Ecco voglio lei !”. Dopo un mese circa mi portò a casa, mancava solo la firma definitiva della madre naturale visto che c’era, ma doveva passare un lungo anno affinchè fosse tutto legale.
Mammina non si fece sentire per circa quattro anni perdendo così per legge il diritto di genitore, ma quando riuscirono a rintracciarla chiedendole solo di andare dal giudice a mettere quella benedetta firma di rinuncia, lei non si sa come riuscì a rigirare anche il rappresentante del tribunale e un brutto giorno venne a portarmi via dalla mia famiglia. Qui iniziò il calvario della mia vita.
Loredana 40