E’ notte. Una notte con la luna piena e gialla che timidamente sbuca tra le nuvole persistenti e insistenti, quasi volessero nascondere il segreto dell’esistenza e del coniglio che abita sul nostro satellite naturale.
E’ buio e le strade sono deserte. Mia sorella è nel sedile posteriore della macchina, pensa. Mio padre guida e ogni tanto parla. Io rispondo e cerco di mantenere la conversazione ma sono malinconica, depressa. Dopo giorni chiusi in casa a dormire di fila per tredici ore, esco.
Una luce verde si distende su un fianco della macchina e quasi obbligata a farlo, sparisce. In quel momento non ascolto più mio padre che mi ha fatto sorridere per qualche istante, no, penso a quel giorno in cui ho riso non sentendomi obbligata a farlo o a quell’altro giorno in cui risi per fare un dispiacere a una persona che mi aveva ferito. Risi così forte e con voglia che me ne fregai degli obblighi, delle coincidenze, delle abitudini.
Sorrido mentre papà guida, apparentemente spensierato. Ma poi mi domando se ero veramente felice per quegli istanti eterni nella mia mente. No, non ero felice. Che stupida, perché ridevo? Ne valeva veramente la pena? Chi mi ha obbligato a farlo? Io? Il mio super-io? O il nostro satellite naturale che si riflette nei miei pensieri come se fosse una cicala nelle calde notti della Grecia?
Camila