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Abbiamo intervistato Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), per comprendere meglio la situazione degli immigrati a Trieste.

D. Chi sono le persone che arrivano a Trieste? Si vedono in giro prevalentemente giovani uomini.

R. La maggior parte delle persone che arrivano a Trieste sono giovani dell’Afganistan e del Pakistan. Se ne parla poco, ma da vent’anni in quei paesi c’è una guerra strisciante che ha pesanti conseguenze sulla popolazione. I giovani sono contesi dalle bande. Non hanno scampo. Qualcuno li vuole reclutare e le famiglie investono tutto quello che hanno per farli scappare. Spesso partono quando non sono ancora maggiorenni.

D. Quali strade percorrono?

R. La rotta è quasi sempre la stessa. Passano in Iran, Turchia, Bulgaria o Grecia. E poi attraverso Macedonia o Serbia e Ungheria. Si muovono in piccoli gruppi di tre o quattro persone per non dare nell’occhio. Spesso il loro viaggio dura un paio d’anni perché quando partono non hanno tutti i soldi necessari per pagare tutti i “passeur” che li aiuteranno a varcare i confini eludendo i controlli. Allora si fermano in qualche paese e lì lavorano per guadagnare quanto serve per proseguire il viaggio e arrivare da noi.

D. E cosa succede quando arrivano a Trieste?

R. Sono già informati. Sono loro stessi a presentarsi per richiedere il riconoscimento di rifugiato. È assurdo chiedere più controlli di polizia. Chi lo fa dice sciocchezze. Sono persone che hanno tutto l’interesse a dichiararsi richiedenti asilo perché in questo modo scatta l’obbligo di accoglienza.

D. In cosa consiste l’accoglienza?

R. L’ICS, insieme alla Caritas, gestisce l’accoglienza per conto del Comune di Trieste. E qui possiamo dire che la nostra città rappresenta un esempio virtuoso di come si possono gestire situazioni di emergenza senza ammassare le persone nei CAR, ma attraverso un modello di accoglienza diffusa. Si chiama SPRAR (Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati). Appartamenti comuni, autogestiti da chi ci vive (in genere da 3 a 6 richiedenti asilo). Le persone accolte non hanno alcuna limitazione della libertà personale e usufruiscono dei servizi socio-assistenziali del territorio.

D. Cosa succede in attesa che la richiesta di asilo venga valutata e accolta?

R. Il tempo di attesa è di circa un anno. Per il 90 % dei casi le domande hanno esito positivo. Ma bisogna considerare che nel frattempo queste persone vivono sospese. Molte di loro hanno subìto gravi violenze nel loro paese o durante il viaggio. Hanno subìto traumi che necessitano di un percorso psicologico. Ci sono gravi ferite del passato da sanare e un impegno importante per progettare il futuro. Sono giovani che probabilmente non potranno più tornare nel loro paese e sanno che da noi le prospettive di lavoro sono deboli.

Vorrei lanciare un appello importante. Oltre ai servizi che molte di queste persone già svolgono gratuitamente, spesso negli stessi condomini dove vivono allacciando relazioni magari con le persone anziane, ci sarebbe tanto bisogno che le varie associazioni cittadine offrissero occasioni di volontariato per valorizzare e aiutare queste persone nel lungo tempo di attesa che le separa dall’accoglimento della loro domanda di asilo.

La redazione