Volere Volare
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Rubrica

Angolo di Mitilene

Le lacrime di un capodoglio

Ogni giorno un oggetto utile non viene gettato nel bidone, per terra o nelle acque, per l’inquinamento. Ogni giorno un accumulatore seriale prende uno o più oggetti per riempire la propria cosa como fanno le formiche con le provviste per l’inverno. lo sono una di queste persone. NO! È un doppio anzi. In parte sono mio fratello. Non lo vedo più da dieci anni. Alcune cosa erano sia mie che sue. Ho posso alti e bassi nel rapporto con lui. Una sera, causa un litigio per colpa di altri, quell’alleanza si è rotta e me ne sono andata via con tutti gli oggetti.

Al tempo vivevo sola. Non volevo nessuno tranne Rebecca, un bulldog inglese che ricordava quello che avevo conosciuto da piccola e che se ne stava in un giardino non lontano da casa.

Forse era un deia vu? Chissà! Finché anche Rebecca se ne è andata con i suoi padroni in una città lontano da qui. Gi oggetti erano sempre di più. Qualche volta volevo fare spazio, mi mancava l’aria. Per passare il tempo costruivo dei bidoni per la raccolta differenziata. Mangiavo cibo scaduto, tenevo stretto un ciondolo blu con l’immagine della Madonna e pregavo di essere viva; tuttavia, più spazio svuotavo e più se ne riempiva fino al punto di triplicare quanto buttavo. Mi era venuto in mente un dialogo di un figlio con sua madre accumulatrice, lei gli diceva: “Figlio mio, che cosa ne sai della guerra tu? Non l’hai vissuta e sei nata molti anni dopo. È vero, si possono avere un sacco di cose, ma con la guerra o con una catastrofe e compagnia bella, anche quei pochissimi oggetti finiscono in un magazzino o distrutti dall’acqua o dal fuoco”.

Una mattina ho guardato il telegiornale, ho visto una cosa orribile. Un capodoglio che moriva per la troppa plastica e altri oggetti raccoltisi nella sua pancia. Erano addirittura circa metà del suo peso. Ne sono rimasta sconvolta e mi sono commossa. Non avevo mai visto una cosa simile. Io e i tanti accumulatori eravamo proprio quel capodoglio o un qualunque altro cetaceo, morti, e sentivo tutto l’egoismo umano che uccide, che inquina i nostri corpi. Da quella mattina ho preso un telefono ancora funzionante e ho chiesto aiuto.

Molte persone mi hanno proprio accompagnato per riprendere la vita in mano, per capire chi fossi veramente, io NON ero mio fratello, erano le persone che conoscevamo a scambiarci in quanto simili oppure estremamente diversi. Io sono una sorella, non una gemella, abbiamo tre anni di differenza e vite distanti. Riflettete prima di compiere azioni o pensatene le conseguenze. Riflettete anche se ancora oggi, ogni mattina e qualche sera prendo nei bidoni sotto casa un sacco di cose tra cui vecchie settimane enigmistiche non ancora finite che poi concludo personalmente.

Tempi moderni e perduti

34 anni da single

6 anni senza mio fratello più un anno in cui ho abitato ad Hanoi

5 anni di settimana bianca senza “Chi vuol essere milionario?” – nessun miliardario

1 settimana di docce con ciclo ad Alture di Polazzo

4 mesi con solo 280 euro

2 mesi di lockdown, uscita con lucidità (altri non ci sono riusciti), e mezzo

2 settimane dentro casa causa Bora da record, ghiaccio e pioggia

Il vuoto pieno

A tutti manca sempre qualcosa: ma cosa? Manca l’aria che respiriamo, bere una birra dopo la partita allo stadio, eccetera. Ma ne siamo proprio sicuri? Vi ricordo che la clandestinità, il web e tutto ciò che appare come una punizione causa pandemia.

No, non c’è mancanza. Anzi, l’occasione fa l’uomo ladro e truffatore, la paura aguzza l’ingegno e una soluzione la si trova sempre per riempire un vuoto o forse quel vuoto che altro non è che illusione. E a me cosa manca?

Non mi manca niente perché tutto inizia e tutto finisce, c’è l’andata e il ritorno, c’è solo l’effimero e ciò che è effimero e certe cose quindi non possono mancare.

Anno bisesto anno funesto, dice il proverbio. In questo caldo inverno la città, e non solo, si è quasi fermata – a causa di un virus tutto cambiò. Ogni giorno i mezzi di comunicazione ci dicono poche semplici regole, dal lavarsi le mani al restare distanti almeno un metro l’uno dall’altro.

Pochissime volte sono uscita, quasi niente.

Per il resto leggo, guardo la TV, soprattutto Diego [di Cortesie per gli ospiti] he mi tiene compagnia, parlo con il mio gatto Baghera. Qualcuno pensa che io sia sola e triste, ma non è così. Io non soffro la solitudine. Sembro un signore colto dell’Ottocento, solitario ma apprezzato.

O una specie di Umberto Eco. Forse ho capito il perché di tutto questo.

Non sarà per via di quella messa-cerimonia inutile alla Madonna il crollo del tetto della piscina Acquamarina?

Questo è un messaggio del tipo: ve la farò pagare cara, mi vendicherò. Si sa che la vendetta non conosce pietà. Anche il papa chiede un miracolo per fermare la pandemia, ma è tutto invano. Ormai siamo in un zugzwang dove tutto si decide.

Uno dei comandamenti ordina di non nominare il nome di Dio invano. Io penso che valga anche per il Cristo, le Madonne e i santi tutti del paradiso!

Ascoltare a volte non sempre ci aiuta ad essere responsabili. Alcune persone hanno ascoltato voci umane o divine, ma hanno avuto un tragico destino finale.

Ascoltare è condivisione con rumori, musica e silenzio. Anche gli altri sensi offrono una sorta di ascolto perché tutti gli esseri viventi “ascoltano”. 

Una volta vivevamo di più di ascolto, attraverso racconti tramandati oralmente da madre in figlia, nel rapporto tra maestro e allievo, con le urla degli strilloni e la radio.

L’unica cosa più bella che ascolto è il ronfare di un gatto!

Riflessioni

 È difficile essere soli come un cane quando in realtà lui è un animale da branco e tu sei una gattara.

E quando vivi nel deserto e stai cantando dal cocuzzolo di una montagna.

Per me la solitudine è il modo più efficace per non deludere le persone, ma anche per cercare compagnia.

E nella mente mi si crea l’immagine di un eremita che nella sua di mente pensa: “Voglio qualcuno”. Chi è più solo? Il solitario o chi si sente solo?

Indifferenza = Gatto

Chiedo a Baghera, il mio gatto, di spiegarmi qualcosa su questo tema e dico: “Tu che sei esperto, parlami dell’indifferenza”.

Mi guarda e pensa: “Cosa sta dicendo?”

Capisco all’improvviso che la risposta è contenuta nella domanda.

Erotismo questo sconosciuto

Di questo tema non scriverò niente perché niente c’entra con me.

Come può una persona che si lava una sola volta alla settimana, per rimanere casta, pensare o scrivere a cose del genere? É come fare l’albero di Natale ad Agosto!

Casa nuova vita nuova

Sono arrivata ad un compromesso. Sto per traslocare lottando contro la burocrazia, che in parte ho sconfitto. 

Il vero ostacolo da superare è questa speranza che il mio amico mi venga a trovare, anche se dovesse litigare o lasciare il suo compagno o compagna.

Ma io so che non accadrà mai. Sarò come Hachiko nella stazione di Shibuya a Tokyo. So che non si aspetta inutilmente, ma almeno a tenermi compagnia ci sarà il “mio” gatto!

 

Mi stai ascoltando?

 

Il compromesso che ho compiuto in questa vita è quello di non essere più o meno ascoltata. Sembra che io parli cuneiforme. Quelle poche persone che per fortuna mi ascoltano, cercano di capirmi e io cerco di capire loro: come è tipico di chi è del segno dello Scorpione.

A volte non serve dire sempre o no, perché il troppo stroppia. Detto una volta, detto la terza, si viene capiti dalle persone normali, ma per coloro che non comprendono la distinzione tra e no è tutto diverso: pensano che siano la stessa cosa, ma ecco che qui si è intrufolata un’interpretazione e allora non si ha capito proprio un bel nulla nell’arco della propria vita.

Parlo o taccio per sempre?

K2, ti vorrei dire una cosa. “Quella cosa”, ma dato che non ho il coraggio di dirlo né in pubblico né in privato puoi dirmelo tu, magari assieme al tuo compagno? Temo che potrei rovinare tutto nel tuo giorno più bello, ma anche se mi confessassi continuerei a desiderare che tu sia felice con il tuo vero amore.

Desidero che diventiamo un trio, un’unica cosa: saremmo i lati della stessa forma geometrica. Io non posso lottare per qualcuno che cammina lungo due strade, ma se tu avessi deciso di percorrerne una ecco che allora avrei potuto accettare e combattere.

Questo è un grande slam dell’amore, dell’affetto e della gelosia, in cui vi siamo la (ex?) moglie, Lui, me stessa femminile e la mia parte maschile e tutti ci indirizziamo verso quell’amore indiscriminato. 

E in amore l’unico rivale che si può incontrare è se stessi.

Al contrario come mi vorresti?

Non ho detto questo

Una delle cause di morte o di vite rovinate è il “malinteso”, si intrufola come una peste. Siamo stati tutti vittime del malinteso; a volte questo può essere risultato persino positivo.  

Quando racconto una storia o un pensiero alcune persone non capiscono o esagerano i fatti. Prendono alla lettera le mie parole ed io sono costretta a rispondere “non ho detto questo” e che non intendevo ciò che mi ripetono. Allora rimangono delusi ed illusi come il cane con la bistecca e il corvo di due celebri favole. Se tutti ascoltassero veramente e se si parlasse soltanto dopo aver compreso il significato delle parole e delle frasi in cui esse abitano ci salveremmo.

Nel mio caso incontro una persona, sono gentile ed affabile ed ecco che questa pensa che ci sia qualcosa tra di noi, qualcosa che oltrepassi l’amicizia. Una storia che nel passato, nel presente e nel futuro non è mai esistita… o forse sì: chissà! Un po’ come il bibliotecario cieco del Nome della rosa che racconta di un libro inesistente. 

Alla fine si deve sempre capire quale sia la verità.

La scelta delle due donne

C’era un uomo, e un padre allo stesso tempo, che si trovò ad un incrocio  dinnanzi a due donne: una era brutta, sporca, coperta di stracci, ma con un animo gentile e piena dei valori cristiani; l’altra era bellissima, elegante, profumata, ma ingannevole. La prima donna gli propone il proprio cammino: “Vieni con me; io non possiedo nulla se non qualche spicciolo – giusto quel che serve – ma ti voglio dare tutto quello che posso per renderti felice e per aiutarti a trovare una luce in fondo al buio”. La seconda donna gli propone la propria strada: “Vieni con me, sono ricchissima, ma sappi che ti posso sempre ingannare, anche senza dire nulla; lo scoprirai sempre troppo tardi; entrerai nell’apparenza  in quanto io sono in grado di condurti nel buio più profondo e pieno di montagne, di rovi, di ostacoli dai quali non potresti mai uscire con le tue sole forze. L’uomo, convintosi, sceglie di seguire quest’ultima senza pensarci per bene: “Sì, vengo con te!”. Tuttavia, mano a mano che il tempo scorre, l’uomo continua a farsi del male, rimanendo però soddisfatto in quanto nonostante questa donna lo renda triste, al contempo, egli si sente felice – non si accorge di quanto sia importante la sua stessa vita. E un giorno si rovinerà, senza trovare una soluzione, senza poter ascoltare i consigli degli altri: ecco, entrambi sono divenuti prigionieri del passato!

Grado mon amour

Un pomeriggio d’estate io, Lorena e Luca raggiungemmo Grado con il Delfino Verde per fare un piccolo giro. Appena scesi in porto vidi Mirko con Giorgia che ritornavano a Trieste. I miei occhi brillarono di gioia, io corsi verso di lui come in una scena di qualche film d’amore. Lorena rimase a bocca aperta, pensando cbe non poteva certamente trattarsi di un parente data la troppa felicità nei miei occhi. Mirko salì sul traghetto e io passeggiai a Grado con gli altri. 

In quell’occasione ho provato qualcosa che non ho mai provato per nessuno che io abbia conosciuto in questi miei quasi trent’anni di vita. Credevo che correre e abbracciare la persona che ami, o che pensi di amare, fosse qualcosa che accade, per l’appunto, solo nei film romanzati. E invece quel momento è accaduto realmente. 

Un’esperienza come quella non si ripeterà mai più. A questo punto avremmo potuto metterci come sottofondo musicale la colonna sonora di Momenti di gloria.

Mattina e sera non ho nulla da fare, tranne in alcune rare occasioni. Cerco allora di spezzare la noia, ma invano; ogni giorno è sempre uguale, lo riempio di tempo per farlo sembrare un po’ diverso: poi tutto il resto è noia. Malgrado le giornate passino, mi rendo conto troppo tardi di fare del male sia agli altri che a me stessa. Mi sento come Van Gogh nella sua stanzetta dall’odore assordante del bianco. Strano che non sia impazzita nello stesso modo, anche perché, per fortuna, solo per poche ore al giorno, o raramente per mezza giornata o un giorno intero, riesco ad essere lucida e sopravvivo così alla pazzia della noia, dell’abitudine che diventa ossessione. Potevo – e tuttora devo – tirare fuori il Basaglia che c’è in me e abbattere il muro del mio manicomio interiore, distruggendo anche quello delle altre persone che mi circondano. Solo così alla fine, sia io che gli altri, abbattendo quel muro e i nostri muri, potremo stare uniti e liberi, saremo come Berlino dopo il crollo. 

Alla ricerca della curiosità

Per un periodo della mia vita ho provato a soddisfare “la curiosità” sentimentale corteggiando delle ragazze, ma invano. All’inizio c’era Arianna, poi Francesca e Veronica. Tutte e tre frequentavano la mia stessa scuola. 

Katia si trovava proprio in classe con me, ma lei c’era e non c’era.

Finita la maturità e il percorso scolastico, ci provai con Sara, la barista che lavora dove vado sempre a bere il “capo”.

Con la mia vicina di casa, Rachele, ho combinato un guaio. I miei genitori se n’erano arrabbiati. Non racconto altro.

E poi Nina di H&M, Ico del bingo e Yelena, incontrata a San Giovanni, al Posto delle Fragole. Yelena ed io, finito il turno, scendevamo per tutto il manicomio fino alla fermata “della 9”. Prendevamo l’autobus insieme e, così, l’accompagnavo almeno fino a Piazza Goldoni, portandola dal suo compagno sana e salva. La proteggevo. 

A volte facevo qualche regalo; li compravo, ma più di frequente li riciclavo. Ricordo che spesi ottanta euro per una spilla a forma di mimosa.

Nessuna era attratta da me e loro sapevano e sanno che io non sono ciò che pensavo di essere, proprio perché una ragazza normale è una che piace alle ragazze. In genere riconosci le ragazze che potrebbero accettare un corteggiamento, ma si nascondono o per paura del pregiudizio o perché sono bugiarde. 

Io ci ho provato in modo sbagliato, eppure penso che siano sciocche tutte quelle che non hanno mai tentato di portarmi nel loro mondo, non serviva nascondersi inutilmente, era sufficiente un bacio, una carezza qualsiasi, ma niente. 

A volte credo che io sia destinata a non incontrare veramente nessuno né una compagna né un compagno e che ciò sia colpa mia, dei miei, delle persone che dovevano avere un ruolo e invece niente. Forse la responsabilità è di entrambi.

La colpa della mia rigidità egoistica di chi è?

La malinconia delle tenebre

Nella vita, a volte, ho combinato qualcosa. Ho fatto poco. Tutto il resto del tempo l’ho sprecato, è volato come l’Ursus che navigava nel golfo in quel giorno di Bora da record. Quando esco di sera da sola, spesso osservo la mia malinconia delle tenebre e mi accorgo che non esiste. È un’amica immaginaria. Anzi, lei è forse tutt’altra persona, qualcuno che ha certamente più amici, più contatti di me. Io sono da sola quando c’è luce e sono da sola quando c’è il buio invernale. Torno presto. E se esco più tardi per andare a teatro o a cena o da qualunque altra parte, sono da sola, come lui, un altro amico misterioso, che è sempre l’altro. Ogni tanto provo a fare qualcosa di diverso, ma alla fine sia io che lui ricadiamo il quel sentirci soli; in modo diverso per ciascuno la solitudine ci rende tutti uguali. Forse è proprio l’inesistente malinconia delle tenebre, che ho conosciuto anche sotto il sole più cocente, il sole senza ombre, opposto a quello di Riccione.

Il silenzio del tempo durante una giornata ai domiciliari

Ore 7.30 DRIIIIIIN, WRWRWR, GNGNGNGN, BRM-BRM, WHOOOOO…

Ore 7.45 BLUBLUBLU, TIC TIC, WHAM, QHQHQHQHQHQH….

Ore 8.00 DIN-DON-DAN, BLABLABLA….

Ore 9.00 GNGN, PRPRPR, YAWN, CLOCK-CLOCK…

Ore 9.30 ZZZZZZZ, PLIN-PLIN…

Ore 11.00 RI-BLA, RI-BLA, RI-BLA, NGHI, MUMBLE-MUMBLE…

Ore 12.30 GNAM-GNAM, SLURP, GLU GLU GLU…

Ore 14.00 WASH WASH, RI-BLUBLUBLU, MAO-MAO, RRRRR…

Ore 16.00 FRFRFR, CHAT-CHAT RICHAT, BIP-BIP, OHH MMH…

Ore 20.00 TRI-BLABLABLA, RHRHRHRH, CLICK, TIC TAC, PRRRR…

Ore 23.00 ZZZZZ!

P.S.: Il tempo è silenzio, ma sono i rumori a comporre un colonna sonora!

Il futuro che non c'è

È tutta la vita che percorro la stessa strada senza uno scopo reale o materiale, un Io che c’è e allo stesso tempo non c’è. Per quanto urli più forte possibile, anche se sono con qualcuno vicino, nessuno riesce mai a sentire il grido di dolore e di sofferenza. Ogni tanto penso a quella persona, sono qui e non faccio niente di importante; sto più a pensare che ad agire.

E il mio futuro? Non c’è non esiste. E questi? Mattoni di nulla con la base di nulla, progettati da architetti costruttori di castelli d’aria.

Finché mantengo in me una parte lucida della ragione, anche se non troppo esagerata, preferisco consegnare tutto il mio futuro a lui, piuttosto che mantenermi a singhiozzo in questo io.

Pendolare per amore

Un pomeriggio incontrai un ragazzo che mi raccontò la sua storia, lo guardai e gli altri membri del gruppo compresero subito che quello là mi piaceva. Tornando a casa pensai di andare a cercarlo. Presi i soldi, pranzai prima di partire, calcolando ogni minimo dettaglio, presi un treno e me ne andai alla sua ricerca. Finii in una città nuova, in cui non ero mai stata. Durante i brevi incontri a cui avevamo partecipato lui aveva parlato di dov’era, dei suoi piccoli segreti. Spesi così tutti i miei risparmi solo per i treni, i pullman, il flixbus e quant’altro, ma arrivai finalmente a casa sua. In occasioni delle varie soste, in un discount di fiducia, avevo rubato una moneta dimenticata in un carrello e avevo comprato un pacchetto di Tuc e un Kinder cereali, spiegando alla cassa che ero al verde e che quella moneta sarebbe dovuta bastare. I miei genitori mi avevano tolto i risparmi sostenendo che avrei speso troppo per un ragazzo troppo conteso, come se lui fosse la corda del tiro alla fune, come fosse una pallina del flipper. Da allora, qualche volta, lo lasciai in pace, ma ormai era chiaro: ero una pendolare per amore. Avrei voluto continuare così, ma, una sera, scoppiò uno sciopero di ventiquattro ore  e dovette bastarmi una monetina da venti centesimi nella cabina telefonica. Lo chiamai per dirgli soltanto “buon Natale!”.

Se potessi avere ottanta euro al mese

La mia vita è un giro di Peppe, soprattutto per quanto riguarda il futuro, che mi pare già scritto. Sarò forse una barbona milionaria o vivrò ancora nel lusso della povertà? Chissà! In ogni caso, il mio libretto postale è un armadio pieno di nulla da indossare, tutto si accumula per poi non sapere più cosa è cosa e come lo si usa. Se qualcuno non mi avesse detto “metti via” tutto questo non sarebbe accaduto. Il risparmio economico non mi interessa, per me è come il fumo dell’arrosto. A che serve mettere da parte quando le cose saranno aumentate di brutto? È come nella cronaca nera in cui succede di tutto e di più. Non sono avara né affetta da D.O.C., almeno credo. La tredicesima? Una mancia, esattamente come gli ottanta euro di Renzi, però io quella cifra la vorrei, così potrei non avere più pensieri. Oggi grazie alla rete e a varie app si possono trovare molte occasioni, qualche sconto per andare al cinema o un buono per una cena. Inoltre, a teatro fanno il due per uno. Ma io sono all’antica, come un uomo d’altri tempi, senza la doppia personalità di molte persone che conosco. A me basta un bagnoschiuma per lavarmi il corpo, un dentifricio per i denti e quattro rotoli di carta igienica per i bisogni intimi. Mi bastano tra i cinque e i diciotto euro per la spesa, anche meno a volte, ciò che occorre per riempire il buco dello stomaco. Sono sempre alla ricerca di soluzioni e so che molte ne troverò, le si devono sempre trovare. Tant’è che dico spesso: senza soldi e senza qualcuno, non sei niente e non sei nessuno. Sei spacciato.

Il dopo di noi

Certe persone hanno dei piccoli o grossi problemi di tipo fisico o mentale e, anche se nessuno è eterno, improvvisamente questi si ritrovano naufraghi nella crudele società del pregiudizio. Diventano qualcosa che sta tra Robinson Crusoe e Pechino Express. Il peggio avviene quando sono figli unici o abbandonati, senza sorelle o fratelli, senza nessuno. Che sfortuna. Il governo allora cerca di dar vita ad un decreto chiamato “DOPO DI NOI”. Si diche che sia per coloro che non sono né autonomi né possiedono mezzi economici  (escludendo tutti quelli che qualche mezzo ce l’hanno pure, ma di autonomia nessuna). Quando si discute su questo è sempre la solita minestra. Non si potrebbero fare delle esperienze di autonomia per i ragazzi rimasti soli? Si dice che le persone che condividono uno stesso problema, tra di loro si aiutino a diminuire i sintomi negativi, migliorando così la qualità della vita. Ma chi avrebbe il coraggio di portare una persona in carrozzina con tutto il peso che comporta, lungo una salita pendente, in una giornata di Bora al doposcuola Scooby-Doo?

Quando nasciamo e ci stacchiamo dal cordone ombelicale (il vero cordone infrangibile è quello del wi-fi), entriamo in un panico totale. Ecco, ci siamo separati dal nostro rifugio e, a volte, nessuno si salva da orribili stragi. Si muore ancor prima di nascere, un po’ come la casa che è al primo posto nella classifica degli incidenti mortali-invalidanti. Nel frattempo, ci separiamo da tutto ciò che abbiamo costruito. Spesso ci liberiamo di beni, un pezzo di pane che condividiamo con altri simili o con formiche e uccelli-piccioni. Altre volte siamo genitori e decidiamo di separarci dal coniuge, distanziandoci così anche dai nostri stessi figli.

– Molti pensano che le cose siano diverse da ciò che appare ai sensi. –

Altre volte ancora ci sono quelli che accumulano di tutto e di più, in quanto pensano soltanto al passato. Vero, il futuro è incerto, ma il presente dov’è? Nessuno lo pensa, nessuno lo vive. Se si vuole togliere il superfluo, bisogna cacciar via il proprietario e se si fa come sempre non ci si libera ma di nulla. 

Immagino mio padre. Senza mia madre lui butta via ciò che non serve, ciò che non occorre. Ma io salvo il salvabile e, nonostante questo, mi ritrovo in una casa vuota al novanta per cento. Una casa di quelle che si visitano prima di un trasloco o di un trasferimento dopo le nozze.

Troppo vuoto, troppo vuoto. Quindi cerco o cerchiamo una casa più piccola, ma soltanto per dire alla fine: e adesso?

Storia di una paura

I Parte: L’unica paura che ho è sentirmi dire: “tu non sei come noi”. In realtà non temo chi possiede quella paura, quella del pregiudizio, bensì temo molto di più quelli che alla fine vengono malmenati.

II Parte: Da quando la paura è comparsa nel mondo, l’essere umano vive in una gigantesca isola dei famosi con tanto di abusivi, inquilini del Grande Fratello, in cui non si dice mai “sei stato nominato!”.

Pausa sigaretta

Il nome Lucky Strike lo presi dalle sigarette il giorno in cui cercai lavoro nel campo della moda travestendomi da uomo. In realtà io sono Lucy Spare. All’asilo scoprii la prima volta, nonostante tuttora io non ci creda, il mio lesbismo.

A otto anni mia madre morì, lasciandomi un abito che tuttora mi veste bene e che è divenuto il mio portafortuna. Allora, mio padre trovò un’altra compagna che aveva già una figlia più grande di me. Questa, in seconda media, sentì il richiamo dell’isola, si innamorò di me e mi baciò su di una spiaggia poco frequentata. Non lo dimenticherò mai quel giorno. 

Restammo amanti fino ai miei diciotto anni quando scappai verso un nuovo lido. Ora vivo e lavoro qui e proprio in questo luogo sono diventata ciò che sono, mantenendo però viva in me quella speranza di trovare ciò che mi sento di essere, ovvero un uomo. Durante quel periodo buio incontrai una vecchia sarta che mi insegnò i trucchi del mestiere e fu allora che imparai a cucire abiti. Lavorai con lei fino al suo ultimo giorno, senza mai sapere chi io fossi veramente.

Un giorno, “una lei” scoprì la verità: in realtà ero una donna. Lo comprese grazie ad un dopobarba che il suo patrigno utilizzava spesso e che la portò a capire d’istinto che io non fossi ciò che si poteva credere. Nel frattempo baciai tante donne e tra le molte esperienze fui rapita dalla A.A.A. (l’Accademia degli Angeli Azzurri). L’attuale capo supremo si questa realtà, un certo M.D., è un “lui”, così come tutti i suoi generali. Ma ciononostante c’erano molte donne e quelle che mi trascinarono nel piacere furono le donne della stanza tedesca, la più antica dell’Accademia. 

Presi l’abitudine per cui ad ogni pausa o spot sul mio nome fumavo una sigaretta. Ormai, però, un pacchetto mi dura un anno intero, in quanto fumo mezza sigaretta ogni tanto. In una di quelle pause sigaretta, una collega suggerì che ogni donna deve profumare dalla testa ai piedi e fu allora che mi venne un’idea: feci il bagno nello Chanel n.5. Fu un successo straordinario. Soltanto allora sono potuta diventare ciò che sono oggi. 

Ho un segno particolare: mancina!

Ancora non ho deciso

Fino ai diciotto anni sono stata super capricciosa, assassina degli unici pesciolini, nonché i primi animali domestici, che io abbia mai avuto. Durante i quindici-sedici anni ho dichiarato il mio amore per le donne, non tutte, alcune. E sono ancora qui, con i miei. Perché? Si domanda Emma, la ragazza dai capelli blu di un film ancora meglio di La grande bellezza. Ho indossato vestiti femminili che non dovevo indossare e non potevo indossare i vestiti maschili che volevo. Quindi, ora, metto abiti che non si identificano in nessun genere. Volevo diventare come il mio cartone animato preferito, ma nulla. Ho fatto credere a molti di voler diventare una scrittrice, ma non ne ho la stoffa. Mi do dieci zeri per la fantasia, ma poi affronto temi brevi e ripetitivi. Ancora non ho pienamente deciso chi io voglia essere. Mi sento a mezz’aria sugli anelli dell’indecisione, sto battendo i record di Yuri Chechi e altri grandi ginnasti. Quando avrò scelto e deciso potrò cadere in piedi, pur non vincendo alcuna medaglia!

Biglietto di sola andata

Circa vent’anni fa mia zia Loredana soprannominata Checca vinse una bella somma al lotto. Ma, per non farsi mancare proprio nulla, rubò anche dei gioielli appartenenti a mia nonna Maria, sua madre, per poi scapparsene a Santo Domingo dove continuò a fare fortuna con il suo bel conto in banca negli USA. Ogni anno, almeno una o due volte, si decide a chiamare suo fratello, cioè mio padre, per ricordarsi, almeno al telefono, di avere ancora una famiglia. Ormai loro due sono distanti tanto quanto lo è l’Italia dall’America Centrale. In famiglia, l’unico che è rimasto con i piedi per terra è zio Toni, il terzo fratello che non assomiglia né a lei né a mio papà. Quando penso a lui mi vengono in mente dei genitori con le lacrime agli occhi che paiono urlare: “Non sembra mio figlio!”.

Prima di partire per un lungo viaggio

È meglio salvare metà del popolo o tutti quanti, nessuno escluso? Molti paesi si svuotano come l’acqua della vasca dopo aver tolto il tappo terminato di lavarsi. Il deserto che diverrà deserto. Intanto i treni sono affollati, non tanto come in guerra o a ferragosto, ma piuttosto come segreti noti a tutti. Le vecchie barche affondano per il peso di troppe persone – si sa che la matematica non è un’opinione. Il resto dei fuggitivi è costretto a muoversi a piedi. Lo dice un proverbio: se vuoi arrivare primo corri da solo, se vuoi arrivare lontano corri insieme agli altri. Venti o settanta o più di un secolo fa quelli che scappavano erano diversi, il resto di loro si nascondeva o tentava di cacciar via il nemico come formiche che difendono il formicaio, ma quelli che se ne andavano erano migliori dei fuggitivi di oggi. Io non comprendo l’expo e le organizzazioni umanitarie. Dovrebbero essere per tutti, ma ora si salva mezzo miliardo soltanto per lasciar morire, abbandonare un altro mezzo miliardo. Invece di avere la pentola del rancio potremmo avere un piatto, una ciotola o un bicchiere di cibo per ogni persona. Basterebbe non sprecare…

I panni della storia

Più bianco non si può, recitava una storica pubblicità di un noto detersivo. Mio fratello a casa lascia sempre che sia sua moglie a pulire. Ma chi cazzo glielo ha detto? La casa degli altri è un territorio da difendere, mio caro Ale. Più che una moglie ti sei cercato una donna delle pulizie.

Se fossi un uomo che pretende che la donna pulisca e poi ne osservassi gli effetti collaterali non potrei che pentirmene amaramente e recitare il mea culpa. E lei dirà: tu l’hai voluto.

Alcune persone puliscono il già pulito, che non è mai bianco che più bianco non si può. Le nonne di una volta erano le donne migliori proprio perché non erano ossessionate.

Un giorno un tizio con un pezzo di pane sporco ha creato una cura per certe malattie; visto come lo sporco può salvare milioni di vite, al contrario di quelli che, pur immersi nella pulizia assoluta, muoiono al primo colpo di tosse?! 

La storia della donna è composta dai panni della storia – diceva Mafalda – mentre l’uomo si tiene stretto le sue pagine. 

Immagino la scena di Ale che, pentito della dinamica in cui si è messo, non torno più a casa, cacciato bellamente via. Proprio del tipo: “Non farti vedere mai più!”. Sarebbe un triste finale.

Se mi fossi trovata una compagna del nord Europa, una tipica bionda che mi capisce e capisce la differenza culturale, chissà se i miei mi avrebbero accettata allo stesso modo…

Che fine farò?

Una domanda classica di molte famiglie o coppie che hanno un caro con problemi è:  “che fine farà? Chi si prenderà cura di lui/lei?”. Questa paura si chiama ansia o preoccupazione per il domani. Mi immagino che fine farò quando sarò sola, ma è anche vero che non lo sono, in quanto hanno creato i centre, le case famiglia, eccetera. Almeno saprei sempre dove andare. Farei la barbona solo per provare, dato che non lo voglio fare per tutta la vita. Così, solo per stimolare un po’ di quella pena meschina in chi mi guarda. Invece che scrivere su un cartone HO FAME, ci scriverei PISCINA/PALESTRA, lì potrei lavarmi e restare soddisfatta di non essere come la maggioranza di quei poveracci. In ogni caso, sto mettendo via qualche soldo della pensione che ricevo, anche se non so come usarli per un domani. Dureranno per i prossimi venti o trent’anni della mia vita e non posso spenderli solo per il caffè. È una spesa quasi inutile, anche perché più piccolo è il vizio più è grande la spesa, che nel frattempo pare sempre andarsene via come granelli di sabbia in una clessidra. Per fortuna sono quattro mesi che metto da parte soldi con parsimonia. Un vero record! Soprattutto dato che dei soldi io non mi preoccupo affatto, se non ci saranno non ci saranno. Ho conoscenze, qualcuno che mi possa aiutare. L’unica cosa importante è poter mangiare, lavorare e dormire.

OH MIA BRUTTA MADUNINA
(Ovvero: CORSA)

Il terzo giorno in cui mi trovavo a Milano con la scuola visitai il Duomo, simbolo della città. Prima davanti, poi sul tetto, da cui ebbi persino paura. È alto, sì. Da lì si vede anche il grattacielo Pirelli. Quando scesi baciai la terra come fa il papa che ringrazia di essere salvo. Alla fine potrei visitare il Duomo da dentro, nella sua reale bellezza. Lì potei recuperare le forze, dopo che Barbara mi aveva fatto correre per via Montenapoleone, il quartiere dello shopping modaiolo. Mi faceva male la milza tanto poco ero abituata a correre. Mi mancò l’aria. Ma ecco che nel Duomo sapevo di essere viva, potevo riposare. Mentre ero sul treno di ritorno verso casa pensai: la prossima volta vado con calma, chi è che ha fretta?

Straniero a chi?

Ogni giorno arrivano stranieri su gommoni e pullman. Nascosti in ogni modo e mezzo di trasporto. Molti, anzi troppi, confondono la parola “straniero”, infatti nel dizionario non la si trova come sinonimo di extracomunitario, ma vuol dire sconosciuto. Uno straniero potrebbe appartenere alla stessa città, allo stesso paese, alla stessa nazione o gruppo sociale. Quando uno incontra un altro e gli domanda: “Chi sei, straniero?” riceverà una risposta in una lingua e quella lingua pur essendo la medesima, la stessa identica lingua, potrebbe comunque apparire come una lingua straniera. Certe persone sono, per motivi semplici, stranieri nella loro stessa casa. Con tutti questi dati sull’immigrazione ormai sappiamo che la lista è talmente lunga che la Schindler’s List è un piccolo scontrino di un solo acquisto o uno di quei foglietti che occorrono a memorizzare qualcosa di fugace. In questi dati non rientrano, però, tutti gli stranieri. Anch’io, per esempio, sono straniera. Straniera della mia vita. Da straniera mi sono innamorata brevemente di altri stranieri, che passavano e fuggivano con la stessa durata di un’eclisse – come direbbe Black Samba e la sua banda. Penso a quei volontari religiosi che muoiono nei paesi più complicati, come le suore missionarie: se sapessero come aiutare loro stesse, anche all’interno del proprio paese, sarebbero ancora in vita. Finisce sempre male, con queste figurine nere che vengono ammazzate in modo barbaro e crudele. Stranieri che uccidono stranieri. Nel mondo ce ne sono così tanti di stranieri, chi senza nome, chi senza cognome,  al punto che pare assurdo tentare di contarli, di inserirli in una categoria che non sia semplicemente quella umana.

Felicità
è un bicchiere di vino con un panino

Tra gli anni ’60 e ’70 – non ricordo la data esatta – Gianni G. con l’amico Paolo si trovavano a Montecarlo dove vinsero un milione di lire al Casinò, o meglio, un milione dell’epoca a testa. Felici come una pasqua si diressero verso un ristorante di lusso e con un po’ di imbarazzo, tra consommé di tartaruga e nouvelle cuisine, continuarono a ricevere delle severe “bacchettate” dai direttori di sala a causa del carattere estremamente burino di Gianni G.

All’improvviso si alzarono tutti in piedi e Gianni G., spaventato, domandò se si trattasse di una rapina. Quella era la dimensione che conosceva. Invece, ecco che gli entrarono dinnanzi, sfilando eleganti, il principe Ranieri e tutto il suo entourage. I due plebei “fortunati” si sorpresero così tanto per l’arrivo di un simile personaggio che non poterono trattenere un sonoro “Oh cazzo!”. Il locale era di proprietà del principe e dunque gli unici a stupirsene erano quei due.

Al momento del conto, per un totale di ottocentomila lire, videro il proprio montepremi sciuparsi, ma la pancia restare vuoto. Triste e affamati consegnarono una mancia ai castigatori, ringraziarono, salutarono e furono costretti ad andarsene, lasciandosi alle spalle tutto quel lusso così estraneo, già così distante.

Ai due veniva da piangere e il loro stomaco iniziava già a brontolare nuovamente. In questo stato non poterono che camminare su e giù per le strade della città, pensando soltanto al cibo del principe Ranieri. Andando avanti così, si imbatterono in un’osteria e affamati com’erano decisero di entrarvici e ordinarsi due panini.

La signora del locale comincia subito a prepararglieli, riempiendoli più che poteva, con ripieni succosi e grassi e abbondanti. Accompagna i due piatti gonfi con un po’ di vino della casa e glieli serve un po’ sudata per i fumi della cucina. I due non aspettano un solo attimo e si avventano sul pane delizioso come avvoltoi su di una carogna.

Con il cibo ancora in bocca, Paolo mormora: “Un milione, eh?” e non poterono che ridere e ridere dell’accaduto, soddisfatti finalmente del cibo, satolli. Allora è vero che la felicità è un bicchiere di vino con un panino, come cantava Albano.

Un caffè con Roberto Ciufoli

Martedì sono andata al teatro Bobbio, ex Cristallo, a vedere Forbici e Follia, un’originale commedia gialla interattiva. Fra gli attori compariva Roberto Ciufoli, il calvo della Premiata teleditta che guardavo anni fa. Lui interpretava il parrucchiere gay, con tanto di shampoo a ritmo di musica. Mi è parsa così fantastica l’idea che pure io avrei voluto ricevere un trattamento del genere, “alla faccia tuo caro Putin”.

Lo spettacolo parlava di un omicidio ambientato in un salone da coiffeur dove chiaramente capitava di tutto e di più. 

Durante l’intervallo Roberto ha offerto molti caffè a noi spettatori. Pensavo fosse uno scherzo o parte della commedia e invece no, era un gesto reale. Sono subito corsa verso il palcoscenico per ringraziarlo e cominciammo a parlare spontaneamente così come si parlano tra di loro un barista e il suo cliente.

Bevendo dalla tazzina calda ho pensato: “vorrei che anche lei, la mia amica preferita, mi trattasse così”. 

Ripreso lo spettacolo ecco che riprendevano le pieghe, con Roberto che acconciava i capelli delle signore in vere pieghe alla moda, aiutato dalle attrici presenti.

Lo spettacolo non aveva il classico finale, erano gli spettatori a decidere il corso della storia e, di conseguenza, ad ogni replica vi era un finale diverso. Vi erano quattro sospettati e, dunque, almeno quattro finali.

Ero così emozionata che, quando ho incontrato, all’entrata dei bagni, Max, un educatore che conosco, e Lucio, un ragazzo speciale che mi pareva più sveglio di tutto il pubblico messo insieme, li ho salutati appena e sono entrata noncurante nel bagno degli uomini. Nessuno si è accorto di nulla. Stavo bene.

Così vicini, così lontani

Vi racconto una storia: c’era una ragazza che aveva un padre con una visione della vita estremamente diversa dalla propria. La mandò a studiare all’estero, non perché fosse buono, ma solo per avere la possibilità di stare solo con la madre.

Così la figlia partì e se ne andò a Londra e fin da piccolina studiò l’inglese. I genitori andavano a trovarla molto spesso, infatti, il padre era pieno di insicurezze e, sebbene l’avesse mandata via, non voleva che stesse troppo da sola. Il suo timore era che crescesse troppo lontano dalle sue rigide regole e, purtroppo, riuscì a restare ben presente nella vita di lei, attraverso insegnamenti inculcati a suon di calci e pugni. 

La figlia proseguì gli studi tra sbalzi d’umore e attacchi di panico. E arrivò quasi ad un passo dalla fine quando suo padre si presentò, esigendo il resoconto del suo tributo monetario. Le disse: “Desidero sapere cosa hai imparato. Sentiamo un po’ come parli”. La famiglia era di origine spagnola, ma ormai la ragazza non ricordava quasi più la propria lingua madre e quando fu costretta ad esprimersi, tra l’ansia e la paura, le costava una fatica tremenda. 

Quando il padre la sentì tentennare in quel modo, sentenziò che i soldi erano stati buttati via e che lei non si era meritata nemmeno di continuare gli studi, per poi andarsene e lasciarla in un vuoto incolmabile riempito soltanto da un gran senso di colpa.

La ragazza continuava a pensare: “Ma come? È da tanto che studio, che mi impegno, che cerco di elevarmi per non essere come te. Cerco di farcela nella vita…”. Ma ecco che quella piccola distanza linguistica non permise al padre di capire la figlia e quel dialogo, già così violento, si chiuse definitivamente.

Lei non riusciva ad elaborato l’accaduto, capiva soltanto il suo malessere e che necessitava, ora più che mai, di restare sola. Voleva riappropriarsi della propria vita, desiderava essere lasciata in pace, senza più orchi che la spaventavano. Anche se ormai tutto la spaventava.

Quanta nostalgia al pensiero dei cartoni animati degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta. A differenza di oggi c’era una morale, uno scopo e una ricerca d’identità. A volte penso alle Winx che ti insegnavano il valore dell’amicizia, dell’unione che fa la forza, dell’importanza dell’equilibrio nella lotta tra il bene e il male. Nel mondo reale non ti insegnano affatto tutto ciò. Ti consigliano di indossare una minigonna e i tacchi, senza mai obbligarti a metterteli. Siamo noi che ci convinciamo di doverlo fare o che siano gli altri ad imporcelo. No, non sono d’accordo sull’obbligo, sulla manipolazione che non ti permette di distinguere la verità dalla finzione. La moda è una macchina che va contromano in una strada a senso unico. E il problema dell’anoressia diviene così, agli occhi di tutti, un obbligo “non obbligato”. I primi che dovrebbero combattere tali storture sono gli artisti e le famiglie. Ma ormai non esistono più i vecchi cartoni animati con i vecchi valori. Ormai tutti hanno un cellulare. Tranne me – non vogliamo venire disturbati né io né chi mi risponderebbe.  Il primo concetto di obbligo della moda è la religione. Fra Martino, suonando le campane durante un temporale, si frastornò nel vero senso della parola. La moda agisce così e non per questo obbliga nessuno a seguirla. Penso a un bambino in un negozio di giocattoli: vede un prodotto e, senza che nessuno gli dica di prenderselo, lo afferra e lo porta a sé. Lo ha visto in TV e lo desidera. Ecco che allora ci si convince che il primo esempio di obbligo sia la moda.

Cos’è l’obbligo?

L’obbligo è un manuale di sopravvivenza come quello delle giovani marmotte. Ti permette di vivere in questo mondo e senza di esso “ciao ciao, te pol crepar da un momento all’altro”. È un MacGiver capace di creare grandi ordigni a partire da poche cose. È Jo Condro del carosello, con la sua frase impressa in testa – “Che, sono fesso?”. È tutte e tre le scimmie, a cui, a volte, se ne aggiunge una quarta, il “non penso”. L’obbligo è qualcuno che ha deciso di agire come un essere femminile o come un essere maschile nonostante in origine fosse neutro, nonostante il suo genere apparisse soltanto nel nome del sapone che utilizzava. Questo è l’obbligo secondo Mitilene, questa Mitilene che sarei io.

Siamo nati per un obbligo fondamentale: fare i genitori?

Il più complesso degli obblighi che abbiamo in quanto esseri umani è quello di diventare genitori.  Sarebbe curioso assistere al primo vero sciopero generale della storia. A volte penso che i genitori avrebbero dovuto farlo fin dal principio dell’esistenza: i figli pretendono il mantenimento e sono peggio di severi usurai o di coloro che a lavoro praticano la triste arte del mobbing. Persino il posto di lavoro più faticoso pare qualche volta più facile d’essere genitori. Tuttavia un mondo senza figli potrebbe andare bene? Niente famiglie, niente lavoro. Niente lavoro… Il primo articolo della Costituzione italiana recita che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Non è fondata sulla famiglia, non scrive né accenna alla famiglia. Ma se veramente esistesse un simile obbligo – e quale fondamento non è di per sé un obbligo? – non credo che l’umanità esisterebbe ancora.

Miele di Arianna

Era ancora il 2001, con i primi conoscenti, le prime uscite di gruppo serali, e, proprio durante una di queste, andai al cinema a vedere Honey. Il suo sogno è ballare, una commedia musicale. Con lo spegnersi delle luci intravidi Arianna e mi sedetti accanto a lei, avvisando il resto della mia compagnia che lei frequentava la mia stessa scuola – così, per tranquillizzarli.

Sono rimasta due ore accanto ad Arianna e mi erano parse due ore bellissime. Mi ringraziò per la serata ed io le confidai che per me quello era stato come vivere un primo appuntamento.

Quella sera era stata una coincidenza vera: Arianna si era trovata esattamente dove volevo andare. Lei finiva scuola prima di me ed io ero appena in quarta, non avrei mai potuto pensare di incontrarla.

Oltre ai capelli biondi, che sapevano proprio del tipo di donna che piaceva a me, mi ricordo il particolare di una perla di smeraldo che lei indossava sulla lingua, un piercing. 

Da allora siamo state insieme per circa un anno, ma incontrandoci soltanto nel corridoio, a ricreazione o all’entrata e all’uscita della scuola.  Finché non finì gli studi. Dopo di lei mi innamorai di altre bionde, di Francesca, di Veronica, ma non ebbi mai con loro quel senso di coincidenza e di meraviglia, quello spettacolare incontrarsi una sera qualunque al cinema. 

Il miele di Arianna era colato in tante delle mie colazioni e merende. A quel tempo mi pareva che fosse tutto più dolce, ma ecco che, anche senza alcun filo, riuscii ad uscire dal labirinto! È rimasto il sapore del ricordo.

L'abecedario della famiglia

“We are family” cantavano negli anni Ottanta. La mia famiglia è una come tante. Né migliore né peggiore. Per me la parola famiglia non significa soltanto avere una mamma, un papà, parenti o chicchessia, bensì accompagnarsi con qualcuno che sia in grado di comprendere i tuoi pregi e i tuoi difetti, che ti coccoli e ti punisca. Insomma, tutto ciò che ti dovrebbe offrire una famiglia è proprio quello che recita la pubblicità della Nutella: “qualcuno che ti conosce meglio di mamma e papà”.

Nella mia famiglia c’è una mamma che sarebbe capace di rendere matto il più esperto del campo, un padre da “osteria paraponziponzibon” e che torna a casa soltanto per usare il gabinetto, con il suo fare egocentrico e gradasso. Di lui si sono stufati tutti per come si comporta, dagli amici ai parenti, ma lui rimane uguale da venti o trent’anni. Ho anche un fratello più grande che si è trovato in un matrimonio combinato con tutta la sfiga che ne consegue. Per questo motivo e per altre tristi faccende lui è ancora più invalido di me, infatti pur essendo normale non riesce a restare né centrato né concentrato né attento, mentre io, qualche volta, vi riesco. La nonna della famiglia è morta ormai da molto. Lei era gentile, con gli occhi azzurri e mi ha cresciuto. Non ho mai conosciuto gli altri nonni. Ma, a volte, accade che io riceva per posta il catalogo del teatro di Monfalcone a nome di una nonna paterna che non ho mai visto e che non ha mai abitato nella mia casa. Ricevo la posta di una persona che è morta trent’anni fa, da tutt’altra parte, distante, chissà dove. Qui, tra Trieste e San Stino di Livenza, vi abitano delle zie con i rispettivi mariti e figli e cugini di cui però so solo che uno di loro è daltonico, non vede i colori. 

In questo si mostra la mia famiglia e, come tutte le famiglie, assomiglia al gelato: ha vari gusti. Non si tratta mai della famiglia Barilla, seduta a tavola a mangiarsi quella pasta junk food che nessuno vuole, che fa andare tutti a cagare e vomitare, con tutte quelle sue date di scadenza falsificate e che da cinquant’anni mostra sempre le stesse tipologie di persone inesistenti. Quando qualcuno ti presenta i propri amici o altre persone a cui è molto legato e te le introduce con l’espressione “questa è la mia famiglia” accade che si stia assaggiando il sapore di gelato migliore, ovvero quello che ci ricorda che esiste una famiglia in cui si vive da sempre, che è immensamente grande e che si chiama umanità. 

A arroganza

barbari-bestie

C chiacchiere e distintivo

disciplina

E elettroshock

fannulloni

gradasso

H lhacca

I ipocrisia

j’accuse

kangaroo

leccapiedi

mammaquantosonbello

orari

pantalone

quando torni?

R regole

schiaffi-sgridata

torna-conto tasse

usanza

valori

W what?

analfabetismo

yankee

zoticoni

 

Chi è il mio io?

Egocentrica senza volerlo. Leccaculo, anche se al nostro capo Franco B. i leccaculo manco gli piacciono. Gentile e, come accadde al povero Gesù, dei gentili ci si approfitta. Impaurita dalla normalità. Bugiarda e mentitrice. Una “chisonmì?”. Io so’ tutto o quasi… Pigra, ma non troppo, snob, ma non troppo… Viziata dall’ambiente che mi circonda, furba.

La mia vita è tutta un quiz

Da più o meno vent’anni guardo quiz e game show. Da Tira e molla a Passaparola, da Chi vuol essere Milionario all’Eredità. Tutti i programmi mi rendono felice, nonostante la mia educatrice L. la vede diversamente.

L. qualche volta mi dice di staccare la spina, mi ricorda che ormai si può sempre rivedere la puntata perduta su internet, che nessun episodio scappa. A causa di gite o sporadiche serate ne ho saltate molte di puntate, “per fare nuove esperienze” mi sono detta. Lo stesso Franco B. mi ripete che ci sono cose più importanti e che prima dei quiz esistono altre priorità. Non lo ascolto. Lui è lui e io sono io.  Quello che so è che le persone più intelligenti sono anche quelle più emarginate. Senza amici né affetti. Si autoescludono. La mia vita, secondo gli altri, è buttata via come accade a ben un milione di euro nella botola di The Money Drop quando la domanda è troppo difficile. 

Quando guardo i quiz mi immagino sempre di essere lì, di sfidare i concorrenti. Ai tempi in cui il campione Ferdinando Sallustio dominava Passaparola persino mia madre pareva un po’ contenta. E lei mi era parsa contenta solo quando cantava le ninne nanne.

Proprio come cantava Renzo Arbore, sì, la vita è tutta un quiz. Aveva ragione, parlava di me, chiusa come uno studente in sessione, che studia e studia e studia, ma non viene mai promosso. Persino durante le cause di Forum fingo di fare l’opinionista e le studio e studio e studio meticolosamente.

Ad ogni risposta io chiedo sempre: “è la tua risposta definitiva? L’accendiamo?”. Mi pare però che non si dia mai il caso di una risposta definitiva.

 

Cos'è il sogno? e altri aforismi

Parlando del sogno, ritengo che appartenga a un mondo spirituale che il corpo materiale non è in grado di raggiungere, non lo tocca. Il sogno non esprime esperienze legate ai cinque sensi. Un’esperienza ottenuta in tal modo sarebbe la solita realtà, non più un sogno. Cartesio scriveva: «Penso, dunque sono» e così intendeva osservare come chi pensa a qualcosa sta esistendo. Se non esistesse, non penserebbe. 

Il sogno è ambizione, obiettivi, l’immagine di un futuro migliore. Chi pensa che il proprio sogno non si realizzi, o per colpa nostra o di altre persone, crede di non volere più nulla e cade in una sorta di depressione, oppure comincia a indossare una maschera dal sorriso ipocrita che cela una falsa felicità. Un esempio di ciò è il personaggio di un cartone animato soprannominato Falco Bianco. Quest’ultimo viveva solo per un’illusione che egli credeva fosse un sogno, ma per avverarlo era costretto a sacrificare un sacco di vite. C’è sempre un prezzo da pagare. 

Io attendo di compiere un mio sogno, ma nessuno desidera che io lo avveri e dunque resto immobile, domandandomi: “che cosa volete che io sia?”. Poi c’è… 

Freud nel letto di Sigmund Carl.

Il celebre padre fondatore della psicoanalisi scrisse un libro sui sogni. In tutti i suoi capolavori si parla spesso, anche esageratamente, del simbolo del pene che rappresenta i complessi o le malattie, soprattutto quelle legate ai dis-rapporti padre-figlio. Freud aveva un allievo: Carl Gustav Jung. Questo, per sperimentare nuove teorie decide di abbandonare il maestro, dicendogli: “Ma sei un pederasta? Soffri di sodomia? Che cavolo! Vedi le cose solo da una parte. E mettici qualche altra parte del corpo o altre cose nelle tue teorie. Altrimenti me ne vado!”.

Ora capisco tutto. Freud più che un psicanalista era un sessuologo, un andrologo, così come ai miei occhi Franco Basaglia altro non era che un logopedista, in quanto ha insegnato ai colleghi, agli infermieri, eccetera a parlare, invece di usare le mani, che servono meglio per altro.

Aforismi

In ogni caso, il sogno è un disegno raffigurato su di una tela.

Quando hai dolori, ma sei caduto dal letto, vuol dire che hai sognato o è ipocondria.

Il sogno di un matrimonio è come puntare molti soldi alla roulette. A qualsiasi tentativo perdi sempre.

I diritti d'autore del destino

Noi pensiamo che qualcuno ci possa raccontare il nostro destino, sì, però è sempre quello che hanno scelto loro. Se si potesse veramente leggere il destino, vorrebbe dire che esso è stato scritto, ma da chi? Ho provato a cercarlo in tutti i posti, persino in biblioteca, ma mi prendono per matta. Sono andata su Google, ma nemmeno lui può rispondere a questo. Ecco, il destino sta cercando il tipo che pretende i diritti d’autore, un po’ come la vecchia lotta Meucci-Bell per l’invenzione del telefono, come i quattro evangelisti che hanno scritto lo stesso identico libro, ma ci litigano sopra dandosele di santa ragione fino ad arrivare ad un programma di Santoro e urlare “capra, capra”, sì, litigano come Sgarbi e si criticano l’un l’altro come un Gordon Ramsay che decide di convertirsi dopo aver seguito il suo stesso programma in replica. Avete presente la pubblicità della tipa a cui si rompono tutti gli oggetti che ha intorno mentre viene accompagnata da una canzone-poesia per poi comprarsi un vestito su internet correndo sulla spiaggia? Il destino le ha scritto: “pirla, tanto non cambia mai nulla. Cosa pretendi? Tanto poi arriverà il diluvio e correrai piangendo sul latte versato. Hai tagliato la cipolla solo per darne via il sapore?”. Il dott. Destino è uno storico nemico dei Fantastici Quattro e viene sempre sconfitto perché è il suo destino e lui è sempre il proprio destino. E se è vero che il futuro non è altro che il presente citato nel passato, allora il destino è come il Topolino n. 1370, introvabile perché non è mai stato realizzato, allora il destino è un deja-vù, un’esperienza già accaduta e pensare che ci sembra sempre di compiere un’esperienza diversa dall’altra! Ma quando mai? Il destino è un cibo macrobiotico, ma può nutrire il pesciolino d’argento in mancanza di tutti gli altri libri?

Il segreto per conquistare le donne

  1. Avere i ciuffi ed essere ciò che sei. Non siamo nell’epoca di Oscar Wilde o negli anni Trenta.
  2. Essere carismatico come Franc Basalleure e cinico come Freud, non un Cerletti e nemmeno una guida sempre insicura di sé e degli altri.
  3. Dare informazioni su curiosità o argomenti della vita privata di un personaggio, perché ciò che conosciamo lo sappiamo già.
  4. Fare regali e organizzare una caccia al tesoro per comprendere chi sia l’uomo misterioso che nasconde il regalo, come un giallo dove alla fine si riesca a trovare il colpevole.
  5. Esporre la propria opinione su di un articolo che sia leggibile in un giornale al solito bar, è così che puoi fare colpo su di una preda.
  6. Domandare l’età. Da Galateo un uomo non dovrebbe farlo, ma io posso.
  7. Sperare di non avere strani, normali, naturali istinti sessuali, nemmeno nel sonno, al fine di evitare la Sindrome di Padre Ralph.
  8. Amare il caffè e non comprare nulla che non serva.
  9. Cominciare ad essere puntuali.
  10. Aspettare che sia lei ad avvicinarsi a te.

Volevo un uomo vero, vero, vero

Le donne in un uomo cercano il piacere. Accade come in con l’uovo di Pasqua: alcune sorprese risultano alquanto deludenti e ti fanno restare male, malissimo, mentre altre ti rendono soddisfatta e felice.

Volevi un uomo vero, ma i patti erano chiari.

Sia l’uomo che la tua famiglia sono bugiardi, senza però nemmeno essere capaci di fingere, è sempre evidente che tengono un copione in mano. Per questo motivo una donna si trova ad andare con altre donne alla ricerca di un Uomo vero. 

Mi leggo una guida dei rimedi della nonna, non parlo al vento, prendo un caffè d’orzo e, nel frattempo, la donna che è la vostra fidanzata mi guarda da lontano, mi si avvicina e mi sussurra: “Lei mi piace, sarà l’uomo che ho desiderato e che possiede gusti a me simili?”. In realtà, qui vi è un’ombra che prende forma: ogni persona desidera che l’altro sia diverso ma al contempo in linea con i propri gusti ed i propri punti di vista. 

Di giorno ho questa parte rigida, ma di notte… è nella notte che sfogo i desideri del piacere sessuale anche se credo di non provare mai realmente piacere. Quando vado da Valentina, la mia psichiatra, le dico: “Veramente non provo piacere. Credo e penso che esista, ma non lo provo, è grave dottoressa?”. A queste parole Valentina risponde rassicurante che si tratta di un qualcosa di umano, che non vi è nulla di grave.

L’ombra prende il tuo posto e fa quello che tu non faresti mai. Molti credono che, per questo motivo, essa sia pericolosa, ma, in realtà, è la luce che li spaventa. Come può un discepolo di un santo che sostiene di condurre alla luce vivere ciononostante al buio? Provo a controllare anch’io la pentola a pressione che rappresenta il piacere, ma ecco che se anche soltanto provo ad aprirla per la prima volta … BOOM!!! Mi provoco una terribile ustione, perdo una o più parti del viso.

Quella pentola non la aprirò mai più.

Le scuse

Basta poco per mandare tutto all’aria. Scene da far rimanere senza parole. Voglio trovare un senso a queste scuse anche se queste scuse un senso non ce l’hanno. Perché quando faccio qualcosa sei sempre indietro? Qual è la differenza tra me e te? Durante l’assenza di pace si muore troppo facilmente, ma questo non è l’inferno. Chi e cosa provoca una strage? Ormai questa è la mia vita. 

Scusa.

Dimenticare ciò che ho fatto non è mai meraviglioso. Le scuse non implicano il perdono, non rappresentano monetine per comprarselo, non fanno altro che gridare “salvami!”. Che sarà della mia vita fra qualche anno? Arriverà il giorno in cui chiederemo scusa anche se ora ci pare una cosa stupida.

Scusa.

Anche un giorno senza nuvole può diventare una ghigliottina pronta a mozzare con la sua veloce lama. Non sempre ci vuole un fisico bestiale per affrontare la vita. Che farsene di questa meravigliosa paura che è nell’anima di tutti noi? Sarai la mia forza prima di partire per un lungo viaggio chiamato “scusami”. Nessuno ha ancora chiesto scusa dopo tutto questo tempo. La gente vive in un mondo ucronico nonostante abiti il presente. Esiste chi ce l’ha fatta ad arrivare fino ad adesso e c’è chi ha appena iniziato. Noi parliamo e parliamo, ma alla fine le scuse sono solo parole.

In questi tempi di canali televisivi in lotta tra loro c’è il canone RAI che aumenta ogni anno. La gente si salva con tre o più programmi di Canale 5, Retequattro e Italia Uno. Ma perché il canone è sempre più alto? Se guardi la TV per molte ore ci deve pur essere una ragione e allora forse il canone lo si può pagare anche volentieri. Ma se guardi la TV per soli sei mesi e sei interessato soltanto all’oroscopo di Paolo Fox ti pare che non ne valga la pena. Paolo Fox… meglio che non vada in Inghilterra perché, si sa, loro amano la caccia alla “volpe” e lui diverrebbe la preda. Le donne sarebbero i pointer che lo rincorrono per mera tradizione. Una volpe da 260 euro. Paolo! Hai più donne tu che un sultano in cento harem. Si sa, era meglio la RAI di una volta.

Gli uomini, quelli che amano le donne, dovrebbero domandarsi se a loro piacciano tutte le donne, ma proprio tutte! Dicono di amarle, ma poi ignorano le bionde o le rosse, le usano come fossero un oggetto “usa e getta”. Amano solo le more che assieme ai mori sono come l’acqua della terra. Coprono il settanta per cento del pianeta. Per fortuna io sono un uomo con la U maiuscola. Amo una ragazza che è discriminata non per il paese di provenienza ma per i suoi capelli chiari. Ricordiamoci, in molti sentiamo il richiamo della foresta, ma in una donna il richiamo dell’isola è più forte.

Leopardi nella celebre poesia Il sabato del villaggio dice che il giorno ebraico è un bellissimo evento capace di condurre al riposo della domenica cristiana. In realtà per me la domenica è un giorno brutto come la fame perché in essa si sospetta il lunedì e allo stress di dover tornare a lavorare. Da qui il detto “odio i lunedì!”. Il sabato è importante soprattutto di giorno e non di sera. Di giorno ci sono tante cose da fare. Il sabato sera, invece, ci si poteva anche divertire, ma quando si viveva in piccoli paesi e non in una grande città. Ormai è tutto uguale. Dio è la discoteca e la discoteca è un dio. Noi siamo pagani o vediamo le religioni come nemiche della dottrina. Siamo degli hunger games. Personalmente sopravvivo a questa vita che si riduce a cercare un parcheggio girando e rigirando. Alla fine ti tocca posteggiare la macchina o a pagamento o in divieto. Non esco mai la sera perché ho una casa e so quando è il tempo di tornare. Gli altri sono in grado di rincasare il giorno seguente o di non rincasare affatto. C’è sempre quel corvo sulle finestre delle case altrui che ti ripete “mai più”. Trieste è piccola, ma contiene problemi grossi, a tutte le ore, sia di pomeriggio che di sera. Il Montedoro è troppo distante, Barcola e Grignano sono troppo affollati, l’autobus è sempre pieno, il reparto per sole donne al Pedocin è piccolo e stretto. Ormai più che movida qui si tratta di “morida” con tanto di lapide Remix in playback. Ecco il dio discoteca che muore. Il sabato sera è un cammello nella cruna dell’ago, ma è più facile che una statua si muova piuttosto che una creatura vivente se ne resti così ferma e immobile.

Il frigo verde disperazione
e la pancia da sgonfiare

Gepi G. si dirige verso un frigo verde scuro e Alessia Marcuzzi le dice di aspettare, mentre Gepi G., tra sé e sé, borbotta: “Cosa c’è in frigo?”. Lo apre e all’improvviso cade un mucchio di yogurt Activia.

Gepi G. si infuria, le urla: “Tu sei fissata con Activia, questa è la scorta di un mese! Sei la donna più gonfia del mondo?”.

Alessia le risponde: “Ma proprio perché mangio Activia tutti i giorni puoi vedere una pancia sgonfia, riempita solo della sostanza chiamata Bifidus!”.

Alla fine Gepi G. ne prende una dose e la condivide sentenziando: “La scorta di un mese eh? Due settimane a te, due settimane a me!”.

Tuttavia, durante la divisione dei fermenti lattici, Gepi G. ne prende in maggior numero rispetto ad Alessia.

Pensando a quel frigo verde mi viene in mente l’essere al verde come atto di disperazione, come se dentro di sé non esistesse altro che sé. I soldi volano con le tarme del portafoglio, non importa che vi sia una marca chiamata “moneta che ride”. 

Pensando al nome Activia mi si agita una sensazione di “pigrizia”. Striscia la notizia dovrebbe consegnare loro un tapiro. 

La pancia che si sgonfia è un vizio femminile ma che rispecchia la ricerca di sé. Eliminare pesi, fuori e dentro. 

La divisione compiuta da Gepi G. è concepita in tal modo poiché Alessia ne aveva già mangiati abbastanza.

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